TRIBUNALE DI VITERBO 
                     Il Giudice dell'Esecuzione 
 
    Ordinanza di  rimessione  alla  Corte  Costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Nel procedimento R.E. n. 291/2014 promosso da Ciancolini  Daniela
- creditrice procedente, contro Piergentili Luciana - debitrice; 
    Letti gli atti della procedura esecutiva di  cui  alla  epigrafe,
sciogliendo la riserva presa alla udienza del 21 maggio 2014; 
    Rilevato che il credito di Ciancolini Daniela  nei  confronti  di
Piergentili Luciana, ammonta in base  al  precetto  ad  €  10.513,13,
sulla base della sentenza del Tribunale di Viterbo n. 824/12, 6101/07
r.g., oltre le spese della procedura esecutiva; 
    Rilevato che il terzo  pignorato:  Poliedra  S.r.l,  in  data  21
maggio 2014, ha  reso  dichiarazione  positiva  del  suo  obbligo  di
corrispondere al debitore uno stipendio  mensile  netto  di  circa  €
474,00 (al netto delle ritenute previste dalla legge); 
    Rilevato che deve applicarsi il regime  di  pignorabilita'  degli
stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; 
    Rilevato che in base all'art. 545 cpc "Tali somme possono  essere
pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo  Stato,
alle province ed ai comuni, ed  in  eguale  misura  per  ogni,  altro
credito" e che da tale disposizione si ricava  che  lo  stipendio  e'
pignorabile fino ad 1/5, e che un quinto dello stipendio ammonta ad €
94,8, per cui  resterebbero  alla  debitrice  €  379,20  per  la  sua
sopravvivenza (non risultando agli atti  che  abbia  altre  fonti  di
sostentamento); 
    Rilevato  che  nel  decreto-legge  n.   16/2012   (cd.   "decreto
Semplificazioni") convertito in legge n. 44/2012, l'art. 3, comma  5,
che ha aggiunto, nel d.P.R. n. 602/1973, in materia  di  pignoramento
presso terzi disposto dall'agente della  riscossione  per  i  tributi
dovuti allo Stato (in tema di pignoramenti Equitalia), l'art. 72-ter,
recante il titolo "Limiti di pignorabilita'", secondo il  quale:  "Le
somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre  indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, possono essere  pignorate  dall'agente  della
riscossione: 
        a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; 
        b) in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00  a  5.000,00
euro". «Resta ferma la misura  di  cui  all'articolo  545,  comma  4,
c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio,  di  salario  o  di
altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di  impiego,
comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento,   superano   i
cinquemila euro"; 
    Rilevato che, la somma di € 379,20 che resterebbe alla  debitrice
dedotto un quinto del  suo  stipendio,  appare  inferiore  al  minimo
indispensabile  ad  un  essere  umano  che  lavora  per   sostentarsi
(dubitando che tale importo  possa  bastare  anche  a  sostentare  la
propria famiglia), tenuto conto anche del  fatto  che  quello  stesso
essere umano, per produrre quel reddito deve comunque sostenere delle
spese (per mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro etc.), per
cui e' impensabile che senza un reddito minimo  il  lavoratore  possa
comunque prestare la sua opera; 
    Rilevato che, nella ipotesi di pignoramento  della  pensione,  la
Corte costituzionale con la nota sentenza 4 dicembre 2002, n. 506  in
merito  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale   sollevata
relativamente all'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n.
1827, art. 69  della  legge  30  aprile  1969,  n.  153,  afferma  la
pignorabilita' per ogni credito, nei  modi  e  nei  limiti  stabiliti
dall'art. 545 c.p.c., solo di quella parte della pensione che non sia
necessaria a garantire al  pensionato  i  "mezzi  adeguati  alle  sue
esigenze di vita"; 
    Rilevato  che  in  relazione  alle  pensioni  la  soglia   minima
impignorabile non e' stata  definita  dal  legislatore  ma  e'  stata
individuata  dalla  giurisprudenza  che  ha  ritenuto  trattarsi   di
questione di  merito  rimessa  alla  valutazione  del  Giudice  della
esecuzione (cfr. Cass.  n.  6548/11  confermata  da  Cass.  III  civ.
18755/2013 "le  soluzioni  che  si  rifanno  alle  normative  la  cui
utilizzabilita' diretta era gia' stata esclusa dalla  sentenza  della
Corte costituzionale, ed in particolare  quella  che  si  rifa'  alla
pensione sociale, nonche' la soluzione che  applica  direttamente  il
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art.  39,  comma  8,  presentano
margini di opinabilita', poiche' i relativi presupposti paiono  tutti
orientati esclusivamente alle specifiche  finalita'  previdenziali  o
assistenziali dei singoli istituti e non sono  suscettibili,  se  non
altro in via immediata, di  adeguata  generalizzazione:  sicche'  non
solo il trattamento minimo ... ma neppure  l'importo  della  pensione
sociale corrispondono necessariamente al minimo indispensabile per la
sussistenza in vita in condizioni dignitose. Il principio di  diritto
che si intende confermare allora non puo' che essere  quello  di  cui
alla sentenza  appena  citata,  per  il  quale  l'indagine  circa  la
sussistenza o  l'entita'  della  parte  di  pensione  necessaria  per
assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita,  e
come  tale  legittimamente  assoggettabile  al  regime  di   assoluta
impignorabilita' - con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di
crediti  qualificati  e'  rimessa,  in  difetto  di  interventi   del
legislatore al  riguardo,  alla  valutazione  in  fatto  del  giudice
dell'esecuzione ed e' incensurabile in cassazione  se  logicamente  e
congruamente motivata"; 
    Rilevato che tale  limite,  costituente  garanzia  di  un  minimo
assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza
con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o  del
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8; 
    Rilevato  che  gli  importi  di  tali  trattamenti  pensionistici
(utilizzati come parametri costanti dalla  giurisprudenza  di  merito
per individuare la soglia del trattamento  pensionistico  minimo  non
pignorabile) sono entrambi superiori allo stipendio  percepito  dalla
debitrice, per una prestazione lavorativa che, comunque,  la  impegna
quotidianamente seppure "part time" e che tale  stipendio  appare  ai
limiti della mera sussistenza; 
    Rilevato che il pensionato, essendo ritirato dal lavoro non  deve
farsi carico delle spese necessarie a produrre  il  proprio  reddito,
mentre il lavoratore si presuppone che debba recarsi con mezzi propri
sul luogo di lavoro, vestirsi in modo adeguato alla  funzione  svolta
(nel caso di specie la signora fa la  commessa  al  contatto  con  il
pubblico),  utilizzare  energie  anche  fisiche  che  richiedono  una
alimentazione piu' ricca di chi e' a riposo, e quindi sostenere delle
spese indispensabili alla produzione di un reddito,  oltre  a  quelle
necessarie   per   la   mera   sopravvivenza   (nutrirsi,   coprirsi,
riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc); 
    Ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato  un
minimo vitale indispensabile e non pignorabile, che non possa  essere
distolto dalla funzione primaria del salario, che e'  quella  appunto
di consentire la sopravvivenza e l'utilizzo delle  proprie  capacita'
lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; 
    Ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di  sotto  di
quel  minimo  vitale  indispensabile  alla  sopravivenza,   oltre   a
determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il
lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato  del  lavoro
irregolare, non potrebbe far fonte ai propri obblighi  nei  confronti
della famiglia, sarebbe spinto  a  comportamenti  illegali  etc),  ne
risulterebbe violato il precetto costituzionale di  cui  all'art.  36
Cost. che prevede che la retribuzione  debba  essere  "in  ogni  caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa", oltre ai precetti di cui  agli  articoli  1,  2,  3,  4
Cost.; 
    Rilevato che in detta sentenza 4 dicembre 2002, n. 506, la  Corte
ha  ritenuto  di  confermare  il  precedente  orientamento  espresso,
secondo cui  aveva  sempre  respinto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto
comma,  cod,  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  della  quota  di   retribuzione   necessaria   al
mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del  1968;
sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;  sentenza  n.  209
del 1975; ordinanza n. 12  del  1977;  ordinanza  n.  260  del  1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997), 
    Che in tale sentenza si e' ritenuto che l'art.  36  Cost.  indica
parametri ai quali deve conformarsi l'entita' della retribuzione,  ma
nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza  che  ne  scaturisca,
quindi, vincolo alcuno per terzi  estranei  a  tale  rapporto,  oltre
quello - frutto  di  razionale  «contemperamento  dell'interesse  del
creditore con quello  del  debitore  che  percepisca  uno  stipendio»
(sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) - del limite del quinto della
retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento; 
    Che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in  un
contesto economico e sociale nonche' normativo ben diverso da  quello
attuale, sia per quanto riguarda le  modifiche  normative  introdotte
sul regime delle pensioni e  dei  contratti  di  lavoro,  sia  per  i
mutamenti della giurisprudenza che sempre piu' e' andata nel senso di
riconoscere identita' di funzioni allo stipendio  ed  alla  pensione,
sia per i dati fattuali relativi alle potenzialita' di lavorare e  di
produrre reddito a cui una persona puo' aspirare, dato che la  nostra
societa' sta attraversando  una  crisi  economica  senza  precedenti,
ritenuta da molti esperti anche peggiore della grande crisi del 1929,
situazione  che  determina   un   generalizzato   impoverimento   dei
lavoratori  dovuto  alla  esiguita'  degli   stipendi,   ai   mancati
adeguamenti alla inflazione, alla perdita di potere di  acquisto  dei
salari e degli stipendi in generale, etc.; 
    Che tali mutati fattori economici fanno si che, anche nel caso di
specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che l'unico
reddito su cui la debitrice possa far conto per la sua  sopravvivenza
sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento; 
    Che, nel  tempo,  la  sostanziale  identita'  di  funzione  della
pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta  sempre
piu' spesso dalla giurisprudenza,  anche  in  applicazione  di  norme
internazionali ed europee, per cui appare necessario un  ripensamento
del  complesso  contesto  normativo  nell'ambito  del  quale  si   e'
affermata la suddetta giurisprudenza, anche  alla  luce  della  nuova
normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari  dello  Stato
(decreto-legge n. 16/2012 cd. "decreto Semplificazioni" convertito in
legge n. 44/2012, l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel  d.P.R.  n.
602/1973,   l'art.   72-ter,   recante   il   titolo    "Limiti    di
pignorabilita'"; 
    Che nel contesto economico-sociale  attuale,  con  i  livelli  di
disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi economica  che
si e' determinata negli ultimi anni,  le  retribuzioni  ed  i  salari
minimi (per lavori spesso precari o part time) come quello  percepito
dalla debitrice sono gia' ai limiti della sussistenza  e  non  appare
piu' frutto  di  un  razionale  «contemperamento  dell'interesse  del
creditore con quello  del  debitore  che  percepisca  uno  stipendio»
consentire il pignoramento della retribuzione, seppure nel limite  di
un  quinto,  destinata  in  modo  essenziale  ed  imprescindibile   a
garantire  la  sopravvivenza  fisica  del   lavoratore   e   la   sua
possibilita' di svolgere le sue prestazioni lavorative sopportando  i
costi necessari a produrre la sua forza lavoro; 
    Che,  in  caso  di  applicazione  alla  fattispecie  oggetto  del
presente giudizio del limite indicato dall'art. 72-ter, dPR 602/1973,
essendo la somma dovuta a titolo di stipendio parecchio inferiore  ad
€ 2.500,00 mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel  limite  di  un
decimo e non di un quinto; 
    Che lo stesso legislatore che e' intervenuto  nella  materia  dei
pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto  in
considerazione l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto
normativo; 
 
                               Osserva 
 
    Che  sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 545, IV comma cpc, nella parte in cui con riferimento  alle
"somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario  o  altre
indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di  impiego  comprese
quelle dovute a  causa  di  licenziamento"  indicate  nel  II  comma,
prevede che: "Tali somme possono essere pignorate nella misura di  un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed  ai  comuni,
ed in eguale misura per ogni altro eredito" e non prevede  invece  un
minimo impignorabile necessario  a  garantire  al  lavoratore  "mezzi
adeguati alle sue esigenze di vita", ed  una  retribuzione  "in  ogni
caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia  una  esistenza
libera e dignitosa"con particolare riferimento alle  esigenze  di  un
reddito minimo che gli consenta di  sostenere  le  sue  spese  minime
necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed in  condizioni  di'
vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. 
    E, in subordine, che sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 545, IV comma cpc, nella parte  in  cui  con
riferimento alle "somme dovute dai privati a titolo di stipendio,  di
salario o altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di
impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento" indicate nel
II comma, prevede che: "Tali somme  possono  essere  pignorate  nella
misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed
ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito" e non  prevede
invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n.  16/2012
cd. "decreto Semplificazioni" convertito in legge n. 44/2012,  l'art.
3, collima 5, che ha aggiunto, nel d.P.R. n. 602/1973, l'art. 72-ter,
recante il titolo  "Limiti  di  pignorabilita'",  che  le  soglie  di
pignorabilita' siano le medesime di quelle indicate  dalla  legge  in
materia di tributi e che quindi debbano  essere  graduate  a  seconda
dell'ammontare della  retribuzione  come  indicato  dall'art.  72-ter
d.P.R. 602/73 come recentemente modificato: 
        a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euo; 
        b) in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00  a  5.000,00
euro". "Resta ferma la misura  di  cui  all'articolo  545,  comma  4,
c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio,  di  salario  o  di
altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di  impiego,
comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento,   superano   i
cinquemila euro". 
    Detta disposizione si pone in contrasto con gli artt. 1, 2,  3  e
36, della Costituzione. 
    In  relazione  all'articolo  1  della  Carta  costituzionale  che
afferma che la Repubblica e' "fondata sul  lavoro",  all'art.  2  che
riconosce e garantisce i diritti  inviolabili  dell'uomo  e  richiede
l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,
economica  e  sociale,  all'art.  3  che  sancisce  il  principio  di
eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di  ragionevolezza,
all'art. 4 che riconosce e garantisce  il  diritto  al  lavoro  e  il
dovere di ogni cittadino di svolgere una  attivita'  o  funzione  che
concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art.
36 che prevede che la retribuzione deve essere non  solo  commisurata
alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato,  ma  anche  che  deve
essere "in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia
una esistenza libera e dignitosa". 
    Al cittadino lavoratore deve essere garantito che il  frutto  del
suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario,  sia  destinato  almeno
nei  limiti  del  minimo  indispensabile,  al  soddisfacimento  delle
esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente
ne risulterebbe violata sia la dignita' del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a  che
la retribuzione percepita sia "in ogni caso sufficiente ad assicurare
a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa". 
    Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3)  risulta
violato  in  relazione  al  diverso  trattamento  che   riguarda   il
pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa  riceve
una tutela della propria pensione (che puo' essere vista  anche  come
una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve
un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu'  necessita'  di  vedere
tutelato un limite vitale di sopravvivenza  oltre  il  quale  il  suo
stipendio  non  puo'  essere  assoggettato   a   pignoramento.   Tale
differenza, avuto riguardo ai cambiamenti  intervenuti  nel  contesto
normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia,
non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. 
    Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al
diverso trattamento che riceve il debitore a seconda del credito  per
cui si  procede.  Se  il  credito  e'  erariale,  paradossalmente  il
debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le  ragioni  di
interesse pubblico e di quadro normativo  di  riferimento  dovrebbero
giustificare,  al  contrario,  un  miglior  trattamento  dei  crediti
erariali rispetto a quelli comuni. 
    Questo remittente non ignora le precedenti pronunce  della  Corte
costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in  motivazione  in
relazione  alla  prima  questione:  riguardante  la  impignorabilita'
assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere  di
novita'; e' nuova  la  questione  relativa  al  diverso  e  deteriore
trattamento dei  crediti  erariali  (regolati  dall'art.  72-ter  DPR
602/1973) rispetto ai crediti comuni, inoltre il quadro  normativo  e
quello socio economico di  riferimento,  sono  talmente  cambiati  da
rivestire caratteri di novita' e differenza rispetto  alle  questioni
gia' sottoposte al vaglio della Corte. 
    La questione e' rilevante nel giudizio in  corso  ai  fini  della
decisione - adottabile anche  ex  officio  -  sulla  impignorabilita'
assoluta delle somme pignorate o sulla  quantificazione  dell'importo
che puo' essere assegnato alla creditrice (1/5 o 1/10).